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mercoledì 26 agosto 2015

scioglimente

La certezza del non raggiungimento del risultato non è un buon motivo per smettere di provarci

lunedì 23 gennaio 2012

Quanno c'avevo ventanni

Quanno c’avevo ventanni
Ero giovane, allegro e pischello
Quanno c’avevo ventanni
Ero principe drento ar castello

Quanno c’avevo ventanni
Non dormivo né notte né giorno
Quanno c’avevo ventanni
Mi trovavi ar baretto o lì ‘ntorno

Quanno c’avevo ventanni
Ascortavo la musica a palla
Quanno c’avevo ventanni
La risposta era fissa ‘na calla

Quanno c’avevo ventanni
Ero stupido forte davero
Ma mo’ che ce n’ho quasi ‘r doppio
Nun sto mejo, pe’ esse sincero.

venerdì 28 ottobre 2011

martedì 18 ottobre 2011

giovedì 31 luglio 2008

C'è un posto

C’è un posto in una borgata che non è ancora stata violata. Un posto a cui si arriva attraverso un cancello arrugginito precariamente appoggiato un paio di pilastri diroccati. Un posto dove il suolo è ricoperto da un morbido mare verde, il cielo schermato da una macchia verdeviola di glicine e dove qualche mano sapiente ha decorato il fondale con una scritta viola con netti bordi color blu elettrico  tutta spigoli e linee rette che ancora non sei riuscito a decifrare e ti terrà piacevolmente occupato per i prossimi minuti. Un posto dove i soli rumori che sentite sono quelli delle cicale, delle api che volano pigre in cerca di polline, dell’irrigatore che si prende cura di una porzione di prato a qualche decina di metri e dei rari passi che percorrono l’anello di ghiaia che circonda l’isola verdeviola.
Siete tu e l’Amoretuo seduti con le schiene poggiate al tronco del glicine. Un libro per uno posato sulle gambe [tu stai leggendo un libro scritto per la metà in verde, vedi tu le coincidenze] a parlare di niente o del nulla mentre il senso della scritta ti si palesa a tratti. L’aria è immobile, ma lì sotto per lo meno si respira.
Roma fuori è stata abbandonata da tutta quella gggente che non si capisce perché la frequentino e sono rimasti solo quelli che la amano davvero e quelli che non hanno altro mondo. Il tempo è immobile ed è tutto per voi.
Mentre il cielo si tinge di scuro e offusca le cose con un velo sfumato, tu, dopo ore di lettura, chiacchiere, sgranchite, coccole e altro dai un’ultima occhiata alla scritta mentre riponi i libri nello zaino e la decritti in tutto il suo significato. Allora sorridi, benedici i writers, abbracci l’Amoretuo e, con un braccio intorno al suo fianco, varchi il cancello arrugginito.
Mentre fai scattare la chiusura centralizzata sai che stavolta il Supremo [conscio della tua semisordità] le cose te le ha volute scrivere a [per te] chiare lettere.

mercoledì 14 maggio 2008

Cesare

Cesare dopo l'orario di lavoro lo trovavi quasi di sicuro fuori dal pub con le spalle appoggiate al muro e una pinta in mano. Pinta che si faceva sempre versare nei boccali della Guinness perché, diceva, sono perfetti per aprire le facce.
Cesare era figlio di quella stessa rabbia che o te la tieni dentro finché non esplode o la lasci fluire e la condividi con chi ti capita a fianco. Ma non aveva mai effettivamente fatto violenza su nessuno. Anche se lo sapevano in pochi. Istintivamente sapeva che il modo migliore per non farsi rompere il cazzo nella giungla in cui era nato e cresciuto era far credere in giro che fossi chissà quale pazzo criminale. E l'aspetto gli dava comunque una mano. Non alto, vestito perennemente con anfibi, jeans slavati maglietta bianca e bretelle [al massimo, in pieno inverno, aggiungeva un maglione grigio e un bomber nero] perché quella, secondo lui, era la divisa di chi lavora in cantiere. E lui montando ponteggi ci aveva passato ormai più di metà della sua vita.
 A Cesare piaceva ascoltare musica punk, ska, reggae e soprattutto l'oi! ed era naturalmente contro ogni forma di autoritarismo. "Chi ha passato la vita in cantiere odia per forza chiunque vuole comandare. E poi i padroni so' tutti fasci, quindi noi non possiamo che essere comunisti nel cuore e nelle vene".
Cesare era sempre il primo a lasciare la pinta e muoversi se si trattava di andare a coprire svastiche, celtiche e robba del genere perché quella era la sua zona e il controllo del territorio è la prima cosa.
Cesare regalava sorrisi e complimenti a tutti con lo stesso ritmo con cui offriva le sigarette del pacchetto morbido che teneva nella tasca posteriore destra dei jeans.
Cesare amava rosolarsi al sole che colpiva la facciata del pub parlando di calcio, motori o politica.
Cesare imbruttiva spesso, ma si era incazzato solo una volta. Imbruttiva magari a un coglione pieno di soldi che si era permesso di prendere in giro l'indiano che passava al pub per vendere le rose e farsi offrire una birra. Gli dimostava di quanto gli fosse inferiore per cultura e dignità. E di quanto fosse inferiore a lui per fegato. Si era incazzato, invece, per amore. Perchè solo l'Amore fa incazzare davvero.
Cesare amava la sua città, il suo quartiere e la sua strada e si incazzava a vedere come la stessero colonizzando poco alla volta per farla diventare un posto per figli di papà come avevano già fatto con Trastevere, Testaccio, Sanlorenzo, ilPigneto...

Cesare ora guarda il sole che splende alto ma non riesce a scaldare l'asfalto sotto di lui.
Cesare è in preda agli spasmi causati da un colpo alla nuca sferrato con un casco da un sedicente naziskin che ha creduto di dimostrare il suo valore aggredendolo con altri 5 alle spalle.
L'ultimo pensiero di Cesare è che nessuno ha insegnato a chi lo ha colpito come si vive.
[Il penultimo, l'ultimo è Pezzi de mmerda, dovete morì male. Tanto.]


venerdì 22 febbraio 2008

Tu

Cammini nella foschia che precede l'alba. A farti compagnia solo il suono del tuo fiato e dei piedi sulle foglie di quercia marcite coperte di brina. Stai trottarellando verso il culmine della collina per vedere il sole sorgere dietro il monte lontano e innondare di luce la vallata. Ti piace quando tutto si colora di bianco. Ti piace camminare su un lago di luce e stringere gli occhi per non farti ferire troppo.
Oggi sarà una magnifica giornata.
Guaderai il ruscello di cristallo e sentirai che si sta sensibilmente scaldando giorno dopo giorno. Darai una lunga sorsata di quell'acqua amara e così buona che sa di neve e fango. Affonderai con amore i denti nel collo di qualche leprotto o, se il recinto è abbastanza isolato, potresti anche decidere di andare a liberare per sempre qualche pecora malata dalla sua triste vita di schiavitù. Il Mondo si sottometterà come al solito grato ai tuoi piedi. Del resto non sei stato messo al culmine della piramide evolutiva per sbaglio, no?

...E , se sarai particolarmente fortunato, verrà a trovarti quello strano Uomo che ogni tanto vedi da queste parti. Si avvicina timoroso e ogni volta osa di un passo in più. Si siede in terra e passa lunghissimi minuti a fissarti. E tu fissi lui e questo scambio di sguardi ti piace da impazzire. Se ci non ci fossero decine di generazioni alle spalle a dirti che è tabù ti saresti già avvicinato a leccargli il muso. Ma d'altra parte il tuo istinto ti dice che non hai nulla da temere. E tu lo sai che il tuo istinto non sbaglia mai.


Tu sei Lupo.

lunedì 21 gennaio 2008

Marco fra sei assi di pino

Che poi in un modo così stronzo.
Vabbe' che quando tocca tocca e un modo magari vale l'altro. Ma la ruota anteriore inchiodata in tangenziale a 110 all'ora secondo me è un modo magari un po' più stronzo di altri.
E comunque adesso è lì. Ricomposto alla bell'e meglio in una bara di legno fra sei assi di pino, come disse una volta lui stesso.
Tutti riuniti in una chiesa a ascoltare l'omelia del prete che dice di come le morti giovani [giovani?] siano quelle di cui sia più difficile capire il senso, ma che il tutto fa parte del Suo disegno e che forse quelli che muoiono prima sono quelli a cui Lui vuole più bene...

È adesso che succede.
La senti chiara. La sua voce. La riconosci subito. E come te tutti gli altri, a giudicare dalle loro facce. Solo il prete non la riconosce, ma non avendola mai conosciuta, non potrebbe essere altrimenti. Soprattutto quel tono a presa per il culo è decisamente il suo...
"E sì che lo avevo scritto chiaro una decina di anni fa e appeso in camera da letto. In caso io sia morto. E mi pare che questo sia proprio il caso...
Mi pare che avessi detto che avrei gradito essere espiantato dell'espiantabile [anche se mi sa che stavolta c'era rimasto poco] e cremato.
Mi pare che avessi detto 'niente cerimonie di nessun tipo' e allora 'sto pagliaccio in gonnella qui che sta facendo? E poi come fa a parlare di me se non mi ha mai visto né sentito?
"ma veramente..."
"zitto, prete, vai a sodomizzarti qualche catecumeno e lasciaci soli.
E qualcuno, per favore, vada a cercare di rimediare almeno il punto più importante della lista a vada a procurarsi del Campari. Pagherei io, ma non mi avete messo soldi in tasca. Un'altra usanza utile andata persa..."

Poi, nel silenzio generale,
"Ragazzi, che facce, dovreste vedervi. Pare che abbiate visto un fantasma...
Ah, ho una brutta notizia per alcuni di voi, immagino. Dio non esiste. Nessu tipo di Dio o figura assimilabile. Nessuno che possa redimere i vostri peccati post-mortem. E l'unica forma di inferno consiste proprio nel ripensare in eterno in loop a tutte le cose brutte fatte in vita. Per cui smettete di fare cazzate, mettete una pezza a quelle fatte e rigate dritto.
Altrimenti mi dispiace ma sarete dannati in eterno"

[Fade]

*
ogni uomo ha un destino
che lo regna sovrano
e lo reca per mano
fra sei assi di pino
[opera giovanile]

venerdì 18 gennaio 2008

Voglia di, adesso

Estate.
Una tarda mattina estiva. Con jeans, scarpe di tela e T-shirt.
Sotto una tettoia con vista su un vasto campo declinante e brullo pascolato da mucche e cavalli.
Un improvviso acquazzone a gocce pasanti che solleva l'odore di ozono ma non rinfresca più di tanto l'aria.
I grilli che si zittiscono e pochi uccelli che si alzano in volo sul limitare del campo.
Lager fredde in bottiglia da versare in bicchieri spessi.
Il mio amore  e gli altri anelli della mia catena.
Qualcosa di nessuna importanza di cui parlare oziosamente

martedì 30 ottobre 2007

Succede così [anche]

Te ne stai nella tua macchinetta inchiodato sul GrandeRaccordoAnulare  a sbollirti tutto lo stress della giornata ascoltando in loop StraightToHell con il tuo impianto cd pagato uno stipendio.
Te ne stai talmente rilassato che quando quella cazzo di BMW ti taglia la strada ritardi di un quarto di secondo a frenare e ti tocca inchiodare. E ti scappa anche un'invocazione agli avi defunti del conducente di quella cazzo di macchina.

Succede così.
La macchina che ti ha tagliato la strada ti si piazza davanti per traverso e ne escono due manzi ipertrofici con lo sguardo bovino e il cavallo basso. A occhio li diresti padre e figlio, ma non è che ti soffermi tanto sulle loro fattezze. La tua attenzione è attratta piuttosto dalla mazza da basball e la chiave da 36 che tengono strette nelle zampe anteriori e che ti mostrano.
Si avvicinano con grande calma ma con l'arroganza tipica di chi abita nelle fogne ed è convinto che la puzza se ne vada con abbondanti docce di soldi e profumi volgari. Ma no, non se ne va..
E insomma si avvicinano, ti tirano fuori a forza dalla tua macchina e ti massacrano davanti a tutti.

Ora, le considerazioni che vengono sono un paio:
Uno: Questa gente ha da mori' scomoda. Tanto scomoda. Roba che la cura canaro protratta per una settimana sarebbe poco.  Questi esseri devono restare bloccati nelle fogne da cui vengono. Non devono aver diritto a esprimersi o muoversi. Nè a vivere, in finale.
Due: [e mi rivolgo ai manzi di cui sopra] Oltre a aver dimostrato quanto siete teste de cazzo, avete bloccato il traffico e immobilizzato centinaia di persone dietro di voi. Che purtroppo non sono come voi.

martedì 23 ottobre 2007

Stone warm

La strada è un nastro dorato che ti decora le pupille e che serpeggia davanti a te per decine di kilometri. Interrotta solo quando passa sotto il ponte ferroviario. Tratto per il quale sai che diverrai temporaneamente cieco. Ma lo conosci a memoria e non rallenterai. Speri solo che qualche cinghiale non decida di attraversare la strada proprio mentre passi tu. Altrimenti ci sarà frollato di cacciagione al tuo banchetto funebre…
La colonna sonora è offerta dal rumore del motore attutito dai vetri chiusi e dallo scatto del cambio quando scali le marce.
Per il resto è silenzio assoluto. Assoluto e assolato. Il cielo sopra è uno straccio ch’è bagnato di celeste e la campagna intorno sta mettendo il suo vestito autunnale giallo e rosso.
Le ruote sono incollate all’asfalto e i tuoi pensieri sono assenti [se non per ricordarti che in un giorno così hai fatto quella cazzata che ti ha fatto passare 5 giorni all’ospedale a te e 60 dal carrozziere a J.J. Ma ormai sono passati lustri, tu hai imparato a non fare così tante cazzate e J.J. scorrazza felice nei circuiti celesti dove nessuno potrà più decidere la sua strada, visto che lo sterzo lo hai tenuto tu].
Sai che presto arriverai a destinazione e dovrai spegnere il motore, aprire lo sportello, respirare l’aria frizzantina e tornare nel mondo.
Ma, finché non finisce, questo momento è eterno. E viverlo ti allarga il cuore.

venerdì 19 ottobre 2007

"Quando il cielo ride"

Quando sopra di te hai uno di quei cieli che sembrano affrescati con tonnellate di lapislazuli.
Quando i colori di tutto quello che ti circonda sono definiti come fossero appena stati graffiati con dello spray su un muro perfettamente intonacato.

E Tu sei lì sotto che soffri come una cane per qualcuno dei tuoi cazzi che ti sembrano assoluti e universali.
Allora, se alzi lo sguardo, ti accorgi che il Mondo non ha perso nemmeno un miliardesimo della Sua bellezza. E che il tuo dolore si fa sentire forte quanto un sospiro emesso al centro del campo durante un concerto di Vasco.

Tu praticamente non esisti, renditene conto.
E inizia ad apprezzarne il bello....

venerdì 5 ottobre 2007

Fuori di metafora


È parecchio che non fisso il baratro.
È un po' che non mi fermo sull'orlo del burrone e spingo lo sguardo fino in fondo all'orrido.
Da tanto non sento quella sensazione di calma assoluta che solo un panorama del genere [mi] può dare.
La sensazione della concretezza della terra sotto i piedi. Il percepire esattamente dove finisce il mondo. Fino a quel millimetro è il regno a cui appartieni e lì oltre solo se sai volare. [che poi forse ne sei capace. Hai mai provato veramente, per essere così sicuro che invece no?]

Questo vorrei.
Stare in piedi sull'orlo.
Un pezzo di terra inclinato su un salto di qualche [decina di] centinaia di metri. Un cielo che corre prendendo la rincorsa e si getta felice nel vuoto e davanti il nulla. Migliaia di metri cubi di nulla assoluto tra quel pezzo di terra e quello che è sotto. E come al solito chiedermi se quando mi hanno convinto che io non posso volare non fosse solo una di quelle cose che si dicono ai bambini senza pensare che poi loro ci crederanno inconsciamente per il resto della vita.

Dicono che le vertigini non siano paura del vuoto, ma paura di non saper resistere alla sua attrazione.
Dicono che la caduta libera sia una delle sensazioni più forti che si possano provare.
Dicono che il mare attiri tanto perché in finale non è che un immenso spazio vuoto riempito d'acqua.
Dicono

Io so che amo spaziare lo sguardo sul Nulla senza cercarci dentro metafore idiote [come tutte quelle che pretendono di essere applicate alla mente umana]. Forse se Freud si fosse fatte meno pippe mentali e avesse osservato di più il Nulla sarebbe vissuto in un modo migliore. E tutti quelli che lo hanno seguito pure.

mercoledì 28 giugno 2006

Making movies on location


Erano i tempi in cui andavi in giro sempre e comunque in jeans, magliette stampate e anfibi o quelle che al tempo si chiamavano scarpe da ginnastica [oggi qualcosa tipo sneakers].
Erano i tempi in cui ti battevi tutta Roma a piedi a botte di kilometri alla volta. E avevi sempre nella tasca posteriore destra dei jeans il tuo fido walkman che ti sparava a tutto volume nelle orecchie quella musica che ti avrebbe fatto col tempo diventare seriamente audioleso.
E ne ascoltavi di robba: BruceSpringsteen, Clash, IronMaiden, Cure, i fottuti GunsN'Roses, Queen, Skiantos, JesusAndMaryChain e tutta quella musica distorta degli anni '80.
E poi c'era un gruppo che riusciva sempre e comunque a metterti di buon umore, anche quando cantava le sue canzoni più tristi e cupe. Un gruppo che aveva il suono degli anni '80 [infatti poi è inesorabilmente scomparso]. Un gruppo la cui musica suonava come quella che si deve sentire durante i picnic in paradiso. E il cui frontman andava in giro con una specie di aureola.


Stamattina li ho riascoltati mentre venivo a studio e, anche se invece che a piedi sfrecciavo sulla tangenziale in scooter e al posto della maglietta avevo una camicia di lino, mi sono risentito il pischello con il cuore affogato di gioia che cantava a squarciagola Tunnel of Love e Skateaway. Solo che certe cose è preferibile farle a piedi...

sabato 13 febbraio 1999

Di ciò che successe all'uomo di successo che ordinò un espresso alla stazione ferroviaria


Un attore famoso un poco depresso
Era al bar ferroviario aspettando un espresso
Tra il banco e il binario sostava perplesso
In un limbo sintattico vedeva se stesso

Fin quando annunciaron finite le attese
Per prender la tazza la mano distese
Ma aveva frainteso e un treno lo stese
‘’è questo successo?’’ la folla si chiese

E il barista: ‘’è successo sì . E succede più spesso di quanto non crediate’’

martedì 1 aprile 1997

Fabio in Primavera

Non lo avrebbe mai creduto e invece è successo.
Lei si è avvicinata e gli ha detto:
     “Ho voglia di un gelato, ma non mi va di mangiare da sola, te ne offro uno”
Lì per lì non ha capito, poi, con l’aria più disinteressata possibile, ha detto:
     “Se per te è uguale offrimi una birra o una sigaretta, ultimamente non amo i gelati”
Lei, guardando altrove ha scandito:
     “Allora una birra, col gelato sta decisamente meglio”
E così eccolo qui mentre la  accompagna nel bar ancora incerto se ha capito il senso della sua ultima frase ma a questo punto deciso ad andare avanti se non altro per curiosità.
Ordina una chiara alla spina, poi si poggia con la schiena al bancone e da’ un’occhiata in giro per vedere chi c’è nel bar. Quando si gira verso di lei si accorge che lo sta fissando mentre mangia il proprio Cucciolone a morsi lenti. Senza staccargli gli occhi di dosso dice:
     “Comunque io sono Cristina.” E gli porge la mano con le dita dritte e il pollice in linea con l’indice, cosa che a lui ha sempre dato fastidio. E poi che vuol dire iniziare il  discorso con comunque?
     “Lo so,- risponde ignorando la mano - abito anch’io in questo paese, sei la sorella di Gianni.” Poi, dopo aver cercato un sostituto a  comunque e non averlo trovato, “Comunque, nel caso ce ne fosse bisogno, io sono Fabio, Fabio Coleridge.”
     “Non ce n’è bisogno. - Ribatte lei leccandosi le dita dal gelato allo zabaione dopo aver elegantemente gettato la carta nel cestino. - Piuttosto, com’è che quando non ti viene a trovare quel tuo amico da Roma non ti si vede in giro?”
     Fabio è tentato di rispondere qualcosa di terribilmente spaventoso e insieme terribilmente inventato, ma poi pensa che non sarebbe giusto abusare in questo modo di un’anima semplice che probabilmente non capirebbe nemmeno il gioco. E poi oggi gli va di parlare e in fondo la tipa non è niente male.
     Quindi, dirigendosi verso la staccionata davanti al bar e assicurandosi che lei lo stia seguendo dopo aver ordinato una Diet-Coke in lattina, le dice:
     “Il fatto è che sono abbastanza timido e poi da solo non sto male. Quindi spesso non mi va proprio di farmi avanti con gli altri, anche perché magari poi va a finire che ti sforzi di conoscere delle persone che alla  fine si rivelano delle teste di cazzo paurose e quindi chi te lo fa fare?” Poi, senza darle il tempo di rispondere qualche ovvietà alla sua domanda retorica, aggiunge “A proposito, sai che sei la prima persona che conosco che riesce a trasformare il bere con la cannuccia in qualcosa di altamente erotico?”
     Lei lo fissa ammutolita, come previsto, poi arrossisce un po’ e per la prima volta distoglie lo sguardo da lui. Fissa il panorama lontano alla propria destra e, ripreso il controllo del cromatismo delle guance, gli propone di fare un passeggiata.
     A Fabio, improvvisamente, viene in mente che se lo baciasse ora mischierebbe il sapore della birra che lui sta ancora sorseggiando a quello della coca e non del gelato. Poi, pensando che forse in finale non è poi così importante, accetta di passeggiare con lei dopo aver finito la birra e restituito il boccale.

     È un po’ che stanno passeggiando, lei ha smesso di fissarlo e sembra invece interessata a essere vista con lui, come se lo facesse per scommessa. O forse lui è più popolare di quanto credesse. Comunque Fabio, al quale non piace troppo essere al centro dell’attenzione, ha dirottata la passeggiata verso luoghi più isolati e ora stanno percorrendo un sentiero costeggiato da una parte da rovi e dall’altra da glicini.
     La conversazione, dopo un primo periodo di ovvietà dette da lei e risposte minime di pura cortesia  sillabate da lui, si è ora arenata e così i due camminano in silenzio, cosa che, per quanto riguarda Fabio, non è affatto un problema. Si gode il profumo dei glicini e il caldo di una primavera scoppiata tutta insieme dopo essersi fatta a lungo attendere.
     Arrivano a un bivio che da una parte conduce in paese e dall’altra si addentra nei boschi. Quando già Fabio si sta chiedendo se torneranno alla civiltà o meno, lei si ferma, lo fissa per quindici eterni secondi mentre è percorsa da brevi tremiti lungo tutto il corpo, e infine mischia la Diet-Coke con la birra.

     Fabio sinceramente resta un po’ sorpreso. Ovviamente sapeva che sarebbe successo. Quello che non si aspettava è l’intensità, quasi la foga, che lei ci mette. Non è che gli dispiaccia, anzi comincia a prenderci gusto, solo che lei lo sta baciando come se stesse bevendo da una borraccia nel deserto, come se non baciasse da cinque anni..
     Caso strano, le prime parole che lei dice quando, dopo cinque minuti si stacca, sono “Aspettavo questo bacio da cinque anni.”
     “Questo vuol dire che non baci da cinque anni?” A occhio e croce doveva averne più o meno quindici.
     “No, vuol dire che sono cinque anni che aspetto di baciare te, e col tempo ho iniziato ad aspettare anche altre cose.”
     Hei, la ragazza si fa audace, chissà se abbiamo tutti ben chiaro a cosa si stia realmente riferendo.
     “Con calma - fa Fabio, mentre, tenendola dalle spalle la fissa negli occhi - rispettiamo l’ordine temporale. Quanto tempo è passato dal desiderio del bacio al successivo?”
     “Non lo so. In ogni caso, qualunque sia stato non ho intenzione di aspettare tanto.”
     Non c’è che dire, le parole si fanno audaci sulla sua bocca. Lo sguardo, invece, è rimasto lo stesso di quindici secondi prima del bacio. E bisogna dire che questo provoca su di lui uno strano effetto. Sicuramente lo intriga, ma al tempo stesso lo trova quasi disarmante, come fosse un ragazza che vuole per forza portarsi a letto il proprio mito incontrato per strada e non sa nemmeno bene come fare.
     Alla fine decide di lasciarsi del tempo e, accarezzandole il viso, le chiede di raccontargli di cinque anni fa.
     “Tu venivi per le vacanze - attacca lei riprendendo a camminare e fissando la strada davanti a loro - e passavi le sere a parlare con mio fratello sotto casa. Io ogni tanto vi venivo ad ascoltare quando gli altri andavano in discoteca e mio padre non mi lasciava seguirli. Tu sicuramente non ti ricordi, non mi avrai nemmeno notata.”
     “Mi ricordo, invece. Passavi il tuo tempo giocando con un gattino grigio o annodando braccialetti  e già allora eri terribilmente carina.”
     Lei arrossisce per la seconda volta, e per la seconda volta Fabio l’ha fatto apposta, tanto da chiedersi che intenzioni abbia in realtà. Ma sarà il tempo a decidere.
     “A proposito, com’è che sei scappato da Roma e ti sei trasferito qui?”
     Ha cambiato discorso per non soccombere d’imbarazzo o per finta modestia? E poi, a proposito di che?
     “Non è che sia proprio scappato. Io amo Roma. È che io e Marco avevamo bisogno di prendere un po’ di ossigeno ogni tanto e visto che c’era casa mia libera.... io sto qui più spesso di lui, tutto qui.”
     “Marco è il tuo amico, vero? -Bada che cima!!!! - che tipo è? Come vi siete conosciuti?”
     E no!!!! Siamo scaduti nel banale più assoluto ! che tipo è il tuo amico... cos’è , vuoi farti pure lui? Vuoi fare ingelosire Fabbio? Non sapevi più cosa dire? E la cosa più allucinante è che lui le risponde pure!! Mi sa che il tempo ha già deciso. Ha deciso di dare a Fabbio Cristina e di prendergli in cambio il cervello. Tutto ciò è toppo pietoso, vi risparmio.
     E poi, tra l’altro non ho nessuna intenzione di farvi sapere come si conobbero i Male e il Bene (il Coleridge, scusate). Oltre al fatto che, per ora, io stesso nonnesonnulla.

giovedì 4 luglio 1996

Pioggia D'Agosto

Tranquillo, rilassato, per la precisione svaccato.
     Su un’amaca di canapa intrecciata a maglie larghe  sotto una pergola di glicine in fiore, Fabio Coleridge ascolta il mondo trattenere il respiro in un rovente postprandio estivo. Il cielo azzurrissimo, quasi trasparente, filtra tra il verde e il viola che lo sovrasta. i jeans scoloriti e lisi all’estremo stringono le sue cosce regalandogli una piacevole sensazione di pace. la maglietta grigia con una scritta in viola acceso che invita a limitare gli sforzi gli preserva la schiena dal fastidioso prurito della canapa a contatto con la pelle . Una leggera brezza gli accarezza i corti capelli e diffonde nell’aria il profumo del glicine.
     Improvviso, netto, gli giunge il suono di un motore che si avvicina. Chiude gli occhi e aspetta. Il motore tace. Una portiera si apre e si richiude. Un paio di stivali si avvicinano lungo il vialetto di ghiaia per tacere sull’erba che circonda il gazebo. Un mazzo di chiavi tintinna nell’aria e va a fermarsi sul suo petto.
     Fabio socchiude gli occhi controvoglia e vede, perfettamente centrati nel suo campo visivo, un paio di jeans chiari, una maglietta nera con una stampa seminascosta da una camicia rossa aperta, un paio di stivali color noce con punta quadrata e anelli laterali, un paio di occhiali con lenti quadrate nere e un folta cascata di ricci scuri che si infrangono sulla camicia. Senza cambiare espressione, quasi stesse ancora dormendo, scandisce:           
“Quando ti stai godendo il tuo momento di pace assoluta, allora e solo allora, puoi stare certo che giungerà una testa di cazzo professionista a ricordarti di quanto sia nocivo il genere umano.”
     Pacato, quasi rivolto a se stesso, il nuovo venuto ribatte:
     “Brutta bestia la demenza senile. Se poi colpisce un soggetto appena uscito dalla pischellanza è micidiale.”
     Fabio incassa il colpo, si stira e, mentre si alza dall’amaca , fa:
     “Vai a preparare il caffè e offrimi una sigaretta.”
     Poi, mentre il tipo scompare verso la cucina, va ad immergere la testa sotto il rubinetto dell’acqua fredda dietro il gazebo e si accende la sigaretta dirigendosi verso la propria macchina. Cerca tra la cassette sfuse sul pianale quella degli Assalti Frontali e si porta anche lui in cucina dove l’altro sta versando il caffè.
     “Tazza, tazzina o tazzetta?”
     “Tazza, piena.”
     “Zucchero?”
     “Sei.”
     “Vecchio, vecchio e diabetico.”
     Fabio mette la cassetta nello stereo, lo accende e fa:
     “Te, chi ti ha messo quel nome, visto il cognome che ti ritrovi, o t’ha letto il futuro, o ti ha scritto il destino. Marco Male ti si addice proprio, caro il mio rompicojoni.”
     “Visto che marco male”, ribatte il tipo, ”Ridammi la sigaretta che t’ho data prima, che era pure l’ultima.”
     Fabio prende un pacchetto di sigarette dal tavolo, ne estrae una e lancia il resto a Marco  che, mentre accende, propone:
     “Facciamo un giro?”
     Fabio, che sta sorseggiando il suo caffè mentre, poggiato al tavolo, fissa fuori dalla finestra, concorda:
     “In una giornata come questa o si va a correre in macchina o ci si spalma sotto il glicine a sfarsi di canne. Io opto per la corsa.”
     “Non abbiamo una Corsa. Io opto per la mia BMW cabrio.”
     “Niente strade bianche?”
     “Asfalto. Autostrade, tornanti, circuito, ma asfalto.”
     “Val d’Orcia e Senese?”
     “I mostri di Bomarzo?”
     “Testa o croce ai bivi e bona l’è?”
     “Aggiudicato. Vatti a rifare che io sciacquo le tazze e rollo canna:”
     Fabio scompare dopo aver portato al massimo il volume dello stereo e aver cantato con lui:
     “Il messaggio spinto è noto/  pulito, una foto/ un ricordo/ l’orologio di Bologna 2  Agosto/ fermo alle 10:25/ e la scritta/ “come ripulisce le stazioni un fascista”.”
     Marco, rimasto solo in cucina, lava le tazze e si porta in macchina ad apparecchiare la canna. Finita l’operazione, sgombra il sedile del passeggero, accende lo stereo e attende ad occhi chiusi l’arrivo del compagno mentre Bob Marley racconta di tre uccellini che gli hanno fatto visita ‘stamattina e del massaggio che gli hanno portato.
     La voce di Fabio lo desta dai suoi pensieri.
     “Com’è che ascolti Bob Marley?”
     “Bob Marley & Wailers: BMW, la musica adatta per questa macchina.”
     “Solo che il contesto è un po’ diverso.”
     “Solo che lui diceva che era scritto che avesse una BMW per lo stesso motivo:”
     Fabio fa una smorfia di compassione e entra in macchina senza aprire lo sportello, poggia il ginocchio sul cruscotto ed emette un lungo mormorio di piacere. Marco gli passa la canna.
     “Accendi.”
     “Chi l’arriccia l’appiccia.”
     Marco accende la canna e la macchina, nell’ordine, e si avvia con molta calma lungo il sentiero che dalla casa porta all’asfalto. Giunto al bivio si ferma, passa la canna a Fabio e chiede se testa sia destra o sinistra.
     “Non importa, ho deciso che si va in toscana. Tu pensa a guidare che il navigatore lo faccio io. Per ora punta su Chianciano fegato sano.”
     “E membro moscio in mano.”
     Dopo un periodo di silenzio, rotto solo dal ritmo cullante dello stereo, Fabio ripassa la canna a Marco.
     “Tiro del leone.”
     “Poca canna e tanto cartone. Tiettelo e prendi ‘na bbira dalla ghiacciaia.”
     Fabio si gira sul sedile, prende due lattine dalla ghiacciaia sul sedile di dietro e, mentre sorseggia la sua, commenta.
     “Come Fandango, stiamo andando in Messico a disseppellire Dom?”
     “Dom non era in Messico, era prima del confine. E comunque ormai siamo diretti a Chianciano piscio lontano. Tra l’altro avevo detto una birra, così si scaldava di meno, rinco diabetico.”
     “La vita è breve, l’uomo è cacciatore e saremo per troppo tempo morti. A Pazienza.”
     “Al vecchio Paz.” Concorda Marco facendo battere la sua lattina contro quella del compagno. Poi porta una mano al taschino della camicia, ne estrae il pacchetto di sigarette di Fabio, ne prende una tra i denti e, rendendosi conto che il pacchetto è quasi vuoto, fa:
     “A Chianciano ricordami di fermarmi a un bar per farti comprare le 3M.”
     Fabio, fissando la strada e tamburellando il tempo sulla portiera ribatte:
     “Primo le MS Mild Morbide te le fumi te, io fumo le Chesterfield Lights, che, tra l’altro so’ pure box. Secondo se vuoi le sigarette te le compri. Terzo, da quando siamo partiti hai assunto THC, birra  e sigarette. Meno male che nun ce so’ le patatine sennò avresti raggiunto lo schifo totale.”
     “Primo le patatine ce stanno e mo’ le prendi pure. Secondo, visto che io ti ho gentilmente concesso  di accompagnarmi in questa gita e ci metto tutto di mio, mi sembra il minimo che tu offra almeno le sigarette. Quelle che dico io.”
     “Tu non mi hai gentilmente concesso proprio nulla. Mi hai coartato a seguirti. Sennò stavo ancora tranquillamente sdraiato sull’amaca a godermi il fresco.”
     “Già, dimenticavo che ai vecchi piace stare a non fare un cazzo. Comunque, se, come dici tu ti ho coartato, e non mi pare proprio, com’è che hai deciso tu la meta?”

FADE

     Chianciano è ormai alle loro spalle.
     Stanno tutti e due quasi immobili, poggiati al parapetto antistante un borgo tipicamente senese, a fissare il panorama (una distesa pressoché infinita di campi arati delimitati da strade costeggiate da cipressi). Non sono entrati a visitare il paese né hanno fatto visita al baretto con cortile alberato alla loro sinistra. Si sono seduti sul muretto due ore fa e sono rimasti così, nel silenzio a scambiarsi pochissime parole e fumare bevendo birra.
     Improvvisa, rumorosa, una pioggia calda e pesante cade tutto intorno. Il posto si anima di figure che chiudono finestre e cercano ripari più o meno improvvisati. Loro non sembrano farci caso più di tanto: si alzano, si stiracchiano, levano le birre brindando alla pioggia, danno un’occhiata alla macchina e concordano tacitamente di lasciarla scoperchiata; tanto appena spiovuto si riasciugherà.
     Nel silenzio sanno di star pensando alla stessa cosa: a quanto gli Ottavo Padiglione siano riusciti, in “Pioggia d’Agosto” a descrivere tutto questo e, dentro di se’, levano un brindisi anche a loro.
      Ciò che faranno poi  non è dato sapere.

mercoledì 24 agosto 1994

Quand’Ora Sarà Ch’Io Vada



Quand’ora sarà ch’io vada
Tra prati di rugiada
Percorrerò la strada
Che mena sin la rada

Sotto il sole crudele
Io scioglierò le vele
Mi nutrirò di fiele
Sognando del tuo miele

Poi, mentre il giorno muore
Approderò al tuo cuore
E donerotti amore
Vincendo il mio pudore

Ma ora, fin ch’è notte
Io sole traccio rotte
Verso le fiche ghiotte
Di mill’e più mignotte

lunedì 1 novembre 1993

En Xena Xenos

En Xenai  Xenos1
  
     Come dicevano gli Iron Maiden? “Straniero in terra straniera / Terra di ghiaccio e neve / Intrappolato in questa prigione / Sperduto e lontano da casa2. Così si sente stasera Marco Male. Bloccato in questo squallido locale da qualche parte di questa città assediata dalla neve.
     Tutto ha inizio otto giorni fa quando Marco riceve una telefonata da un amico del Nord che lo invita a passare da lui una settimana insieme ai soliti amici di sempre (“Sai, una roba tra il grande freddo senza morti e i films di Salvatores, insomma la solita storia”).
     Concordati i nominativi e fatti i bagagli lo staff romano parte per la sua vendetta sui barbari che osarono attaccare la Città Eterna e i primi sei giorni passano portando con se’ Reggae, notti insonni e placido cazzeggio.
     La sera del settimo giorno i nostri hanno tutte le intenzioni di seguire l’esempio del Signore e riposarsi; vengono invece invitati a partecipare alla festa nel locale squallido di cui sopra, organizzata proprio in onore della loro partenza.
     L’atmosfera è noiosa, la musica assordante e il bar è sprovvisto di Absolut. La pista è affollata da gente annoiata che cerca il suicidio affogando nel sudore. Marco, che non balla, sta seduto su un divanetto buio a scaldare un bicchiere di Rum cubano facendo finta di ascoltare un tipo del cui discorso non sente nemmeno una parola. I compagni di razzie, sconfitti dall’alcol e dal THC, agonizzano in altri divanetti o al cesso.
     Finalmente, dopo un numero tot di ore, il locale comincia lentamente a svuotarsi. Radunati i resti del drappello e fatti i saluti di dovere, Marco si avvia verso l’uscita. Sulla porta si imbatte in una ragazza che lo saluta imbarazzata e lo guarda con lo sguardo ho-una-gran-voglia-di-fondermi-con-te -ma-sono-troppo-timida, lui atteggia il volto a spiacente-ma-sono-troppo-bruciato-dalla-vita ed esce pensando che forse ha rinunciato a un piacevole fineserata, ma ha lasciato dietro di se’ l’ennesimo cuore incrinato e ciò gli regala una piacevole sensazione lungo la spina dorsale.
     Fuori, nella nebbia del piazzale, viene assalito dal tipo della tipa, della quale evidentemente aveva frainteso lo sguardo, geloso nonché offeso che la “sua donna” sia stata rifiutata.
     Marco è un nonviolento, ma non un fesso e reagisce all’attacco: compie una serie di rapidi movimenti, poi lo fissa e gli fa: “Probabilmente non hai capito quello che ti è successo, perciò te lo spiego: la chiave della manette che ti stringono i polsi dietro la schiena è allucchettata ad uno dei passanti anteriori dei tuoi jeans, la chiave del lucchetto ce l’ho io; perciò se vuoi liberarti devi trovare qualcuno che ti cali i calzoni. Riportami tutto domattina alle undici alla stazione centrale e ore levati dalle palle. Stop”. Dopodiché monta tranquillamente in macchina lasciandolo ad urlare istericamente cercando di radunare gli amici troppo ubriachi per capire qualcosa e parte in direzione Sud.
     La cosa che lo fa più ghignare in tutta questa storia è che domani alle undici meno un quarto, mentre lui sarà già alle porte di Roma col sole che lo scalda attraverso il parabrezza, una nutrita schiera di teste di cazzo incazzate batterà alla sua ricerca la stazione centrale di una nebbiosa città del Nord assediata dalla neve.

1  “straniero in terra straniera” (greco) in originale era in caratteri greci. Ma a quanto pare su splinder il font "symbols" non riscuote gran successo...
2  “Stranger in a Strange Land”  dall’L.P. “Somewhere in Time”

sabato 1 maggio 1993

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Sapeva che sarebbe successo; era pressoché inevitabile e ora si ritrovava a subirne le conseguenze.
Avevano detto “dai, organizziamo qualcosa a casa tua, facciamo qualcosa da mangiare e poi ci scateniamo in una mega partita a ping-pong all’americana” Lui aveva cercato di evitare il pasto, di mantenerlo leggero, di non farlo annaffiare con la birra. Ma loro niente: e vai con la puttanesca, e vai con la caprese, e vai col dolce. E birra e birra e birra e Coca e Fanta e alla fine erano inevitabilmente tutti fedeli e timorosi sudditi del loro unico dio e sovrano.
Era ormai inutile spronarli, prenderli a calci, pagarli. Erano tutti in coma, a fissare il tennis davanti al televisore, appoggiati al letto con le gambe stese e l’occhio spento.
L’abbiocco postprandiale
ti prende tutto d’un colpo, senza bussare, ti alzi da tavola fresco e tranquillo e di botto ti senti lo stomaco che si appesantisce e ti costringe a risederti, le palpebre si serrano contro la tua volontà e tutti i tuoi sforzi sono tesi a distaccarle per permettere all’occhio di vagare nel vuoto alla ricerca di un soggetto che non impegni troppo il cervello ormai incapace di articolare un qualsiasi concetto che sia più impegnativo di “cazzo, l’abbiocco!!!”. Non riesci più a recepire i più semplici segnali del mondo circostante, nulla potrebbe più riuscire a resuscitarti da un simile condizione, neanche ciò per cui normalmente daresti uno dei tuoi arti superiori. Vorresti solo dormire ,ma non ci riesci perché sei troppo appesantito e allora stai come un ebete allungato a fissare una partita di tennis che non riesci a decifrare mentre il resto della città versa nelle tue stesse condizioni e speri solo di riprenderti presto per poter fare quella cazzo di partita che era poi ciò per cui sei venuto a casa di Fabbio che “Io te lo avevo detto” e che ora ti rompe le palle per fartela pagare “A te e a quegli altri stronzi” e che gli spaccheresti volentieri il culo se solo riuscissi a sollevare una gamba e invece stai come una zucchina e devi soffrire e non ti dà nemmeno il caffè perché “Se lo vuoi te lo fai ma mi sa che è finito” con quel ghigno da stronzo. Ma appena me ripjo te sdrumo e allora sì... Ma checcazzo ma chi so’ ‘sti due che pallettano da due ore saranno abbioccati pure loro, ma ‘sticazzi sto già mejo e ora mi alzo e ora mi alzo e ora mi alzo e.....cazzo piove! Ma allora lo fai apposta, no ha smesso dai si va rompicojoni rincojoniti.
Ma la prossima volta col cazzo che mi fai mangiare così Fabbio dimmerda e... no, la racchetta sulle palle no, vaffanculo stronzo prendi questo attento al tavolo da ping-pong e cazzo l’hai sfondato e adesso?!?
Etc etc.