Tranquillo, rilassato, per la precisione svaccato.
Su un’amaca di canapa intrecciata a maglie larghe sotto
una pergola di glicine in fiore, Fabio Coleridge ascolta il mondo
trattenere il respiro in un rovente postprandio estivo. Il cielo
azzurrissimo, quasi trasparente, filtra tra il verde e il viola che lo
sovrasta. i jeans scoloriti e lisi all’estremo stringono le sue cosce
regalandogli una piacevole sensazione di pace. la maglietta grigia con
una scritta in viola acceso che invita a limitare gli sforzi gli
preserva la schiena dal fastidioso prurito della canapa a contatto con
la pelle . Una leggera brezza gli accarezza i corti capelli e diffonde
nell’aria il profumo del glicine.
Improvviso,
netto, gli giunge il suono di un motore che si avvicina. Chiude gli
occhi e aspetta. Il motore tace. Una portiera si apre e si richiude. Un
paio di stivali si avvicinano lungo il vialetto di ghiaia per tacere
sull’erba che circonda il gazebo. Un mazzo di chiavi tintinna nell’aria e
va a fermarsi sul suo petto.
Fabio
socchiude gli occhi controvoglia e vede, perfettamente centrati nel suo
campo visivo, un paio di jeans chiari, una maglietta nera con una
stampa seminascosta da una camicia rossa aperta, un paio di stivali
color noce con punta quadrata e anelli laterali, un paio di occhiali con
lenti quadrate nere e un folta cascata di ricci scuri che si infrangono
sulla camicia. Senza cambiare espressione, quasi stesse ancora
dormendo, scandisce:
“Quando
ti stai godendo il tuo momento di pace assoluta, allora e solo allora,
puoi stare certo che giungerà una testa di cazzo professionista a
ricordarti di quanto sia nocivo il genere umano.”
Pacato, quasi rivolto a se stesso, il nuovo venuto ribatte:
“Brutta bestia la demenza senile. Se poi colpisce un soggetto appena uscito dalla pischellanza è micidiale.”
Fabio incassa il colpo, si stira e, mentre si alza dall’amaca , fa:
“Vai a preparare il caffè e offrimi una sigaretta.”
Poi,
mentre il tipo scompare verso la cucina, va ad immergere la testa sotto
il rubinetto dell’acqua fredda dietro il gazebo e si accende la
sigaretta dirigendosi verso la propria macchina. Cerca tra la cassette
sfuse sul pianale quella degli Assalti Frontali e si porta anche lui in
cucina dove l’altro sta versando il caffè.
“Tazza, tazzina o tazzetta?”
“Tazza, piena.”
“Zucchero?”
“Sei.”
“Vecchio, vecchio e diabetico.”
Fabio mette la cassetta nello stereo, lo accende e fa:
“Te,
chi ti ha messo quel nome, visto il cognome che ti ritrovi, o t’ha
letto il futuro, o ti ha scritto il destino. Marco Male ti si addice
proprio, caro il mio rompicojoni.”
“Visto che marco male”, ribatte il tipo, ”Ridammi la sigaretta che t’ho data prima, che era pure l’ultima.”
Fabio prende un pacchetto di sigarette dal tavolo, ne estrae una e lancia il resto a Marco che, mentre accende, propone:
“Facciamo un giro?”
Fabio, che sta sorseggiando il suo caffè mentre, poggiato al tavolo, fissa fuori dalla finestra, concorda:
“In
una giornata come questa o si va a correre in macchina o ci si spalma
sotto il glicine a sfarsi di canne. Io opto per la corsa.”
“Non abbiamo una Corsa. Io opto per la mia BMW cabrio.”
“Niente strade bianche?”
“Asfalto. Autostrade, tornanti, circuito, ma asfalto.”
“Val d’Orcia e Senese?”
“I mostri di Bomarzo?”
“Testa o croce ai bivi e bona l’è?”
“Aggiudicato. Vatti a rifare che io sciacquo le tazze e rollo canna:”
Fabio scompare dopo aver portato al massimo il volume dello stereo e aver cantato con lui:
“Il messaggio spinto è noto/ pulito, una foto/ un ricordo/ l’orologio di Bologna 2 Agosto/ fermo alle 10:25/ e la scritta/ “come ripulisce le stazioni un fascista”.”
Marco,
rimasto solo in cucina, lava le tazze e si porta in macchina ad
apparecchiare la canna. Finita l’operazione, sgombra il sedile del
passeggero, accende lo stereo e attende ad occhi chiusi l’arrivo del
compagno mentre Bob Marley racconta di tre uccellini che gli hanno fatto
visita ‘stamattina e del massaggio che gli hanno portato.
La voce di Fabio lo desta dai suoi pensieri.
“Com’è che ascolti Bob Marley?”
“Bob Marley & Wailers: BMW, la musica adatta per questa macchina.”
“Solo che il contesto è un po’ diverso.”
“Solo che lui diceva che era scritto che avesse una BMW per lo stesso motivo:”
Fabio
fa una smorfia di compassione e entra in macchina senza aprire lo
sportello, poggia il ginocchio sul cruscotto ed emette un lungo mormorio
di piacere. Marco gli passa la canna.
“Accendi.”
“Chi l’arriccia l’appiccia.”
Marco
accende la canna e la macchina, nell’ordine, e si avvia con molta calma
lungo il sentiero che dalla casa porta all’asfalto. Giunto al bivio si
ferma, passa la canna a Fabio e chiede se testa sia destra o sinistra.
“Non
importa, ho deciso che si va in toscana. Tu pensa a guidare che il
navigatore lo faccio io. Per ora punta su Chianciano fegato sano.”
“E membro moscio in mano.”
Dopo un periodo di silenzio, rotto solo dal ritmo cullante dello stereo, Fabio ripassa la canna a Marco.
“Tiro del leone.”
“Poca canna e tanto cartone. Tiettelo e prendi ‘na bbira dalla ghiacciaia.”
Fabio si gira sul sedile, prende due lattine dalla ghiacciaia sul sedile di dietro e, mentre sorseggia la sua, commenta.
“Come Fandango, stiamo andando in Messico a disseppellire Dom?”
“Dom
non era in Messico, era prima del confine. E comunque ormai siamo
diretti a Chianciano piscio lontano. Tra l’altro avevo detto una birra, così si scaldava di meno, rinco diabetico.”
“La vita è breve, l’uomo è cacciatore e saremo per troppo tempo morti. A Pazienza.”
“Al
vecchio Paz.” Concorda Marco facendo battere la sua lattina contro
quella del compagno. Poi porta una mano al taschino della camicia, ne
estrae il pacchetto di sigarette di Fabio, ne prende una tra i denti e,
rendendosi conto che il pacchetto è quasi vuoto, fa:
“A Chianciano ricordami di fermarmi a un bar per farti comprare le 3M.”
Fabio, fissando la strada e tamburellando il tempo sulla portiera ribatte:
“Primo
le MS Mild Morbide te le fumi te, io fumo le Chesterfield Lights, che,
tra l’altro so’ pure box. Secondo se vuoi le sigarette te le compri.
Terzo, da quando siamo partiti hai assunto THC, birra e sigarette. Meno male che nun ce so’ le patatine sennò avresti raggiunto lo schifo totale.”
“Primo le patatine ce stanno e mo’ le prendi pure. Secondo, visto che io ti ho gentilmente concesso di
accompagnarmi in questa gita e ci metto tutto di mio, mi sembra il
minimo che tu offra almeno le sigarette. Quelle che dico io.”
“Tu
non mi hai gentilmente concesso proprio nulla. Mi hai coartato a
seguirti. Sennò stavo ancora tranquillamente sdraiato sull’amaca a
godermi il fresco.”
“Già,
dimenticavo che ai vecchi piace stare a non fare un cazzo. Comunque,
se, come dici tu ti ho coartato, e non mi pare proprio, com’è che hai
deciso tu la meta?”
FADE
Chianciano è ormai alle loro spalle.
Stanno
tutti e due quasi immobili, poggiati al parapetto antistante un borgo
tipicamente senese, a fissare il panorama (una distesa pressoché
infinita di campi arati delimitati da strade costeggiate da cipressi).
Non sono entrati a visitare il paese né hanno fatto visita al baretto
con cortile alberato alla loro sinistra. Si sono seduti sul muretto due
ore fa e sono rimasti così, nel silenzio a scambiarsi pochissime parole e
fumare bevendo birra.
Improvvisa,
rumorosa, una pioggia calda e pesante cade tutto intorno. Il posto si
anima di figure che chiudono finestre e cercano ripari più o meno
improvvisati. Loro non sembrano farci caso più di tanto: si alzano, si
stiracchiano, levano le birre brindando alla pioggia, danno un’occhiata
alla macchina e concordano tacitamente di lasciarla scoperchiata; tanto
appena spiovuto si riasciugherà.
Nel
silenzio sanno di star pensando alla stessa cosa: a quanto gli Ottavo
Padiglione siano riusciti, in “Pioggia d’Agosto” a descrivere tutto
questo e, dentro di se’, levano un brindisi anche a loro.
Ciò che faranno poi non è dato sapere.